ISAAC ASIMOV Racconto SALLY Testo italiano Asimov Storie AI

Isaac Asimov

Asimov – Racconti sull’intelligenza artificiale – AI

 Isaac Asimov
 Sally

(originale in inglese: Sally )

(1953)

 

Testo del Racconto

Racconto di fantascienza di Asimov

Testo completo tradotto in italiano

Letteratura statunitense

 

Il racconto di Isaac Asimov ” Sally “, pubblicato nel 1953, già affrontava il tema delle automobili automatizzate e dell’intelligenza artificiale, così attuali oggi.

Sally è un’automobile intelligente, consapevole, e ha una personalità tutta sua. Con altre auto si trova in quella che sembra una casa di riposo, gestita da Jack. Quest’ultimo riceve la proposta dal signor Gellhorn, un uomo d’affari, di vendergli il cervello delle automobili, diventate sue amiche…

L’originalità di questo racconto si basa sulla considerazione delle automobili come persone reali e quindi come personaggi a sé stanti. Loro hanno personalità diverse e un carattere distinguibile.

 

Qui sotto puoi leggere la versione completa con testo tradotto in italiano, del racconto di Isaac Asimov “ Sally “.

La versione originale con testo in inglese del racconto di fantascienza di Isaac Asimov ” Sally “ la puoi leggere su yeyebook cliccando qui. 

Nel menù in alto o a lato trovi il racconto di guerra di Isaac Asimov: “ Sally ” tradotto in altre lingue: francese, tedesco, spagnolo, cinese, ecc.

Buona lettura e buone auto.

 

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 Isaac Asimov

 Sally

 

racconto sull’Intelligenza artificiale

Testo tradotto in italiano

 

        Sally scendeva lungo la strada che conduce al lago; la salutai con la mano e la chiamai per nome. Ero sempre contento di vederla; mi piacevano tutte, ma lei era la più graziosa, su questo non c’era alcun dubbio.

Quando mi vide agitare la mano affrettò un poco l’andatura, ma senza scomporsi; non perdeva mai la sua dignità. Avanzò soltanto un poco più in fretta, quel tanto che bastava per mostrare che anche lei era contenta dell’incontro.

 

Mi girai verso l’uomo che stava in piedi accanto a me. «Quella è Sally» dissi.
Lui sorrise e annuì.
La signora Hester, che l’aveva fatto entrare, disse: «Questo è il signor Gellhorn, Jake. Vi aveva scritto per fissare un appuntamento, ricordate?».

Poteva darsi benissimo, ma io ho sempre un sacco di cose da fare alla Fattoria e non ho certo tempo da perdere con la corrispondenza.

Proprio per questo ho assunto la signora Hester: vive qui vicino, sa occuparsi di tutte queste stupidaggini senza venire ogni momento a rompermi le scatole e, soprattutto, le piacciono Sally e gli altri. Cosa che, invece, a molti non va.

«Lieto di fare la vostra conoscenza, signor Gellhorn» dissi.

«Raymond J. Gellhorn» si presentò lui tendendomi la mano, che strinsi in fretta per lasciarla subito.

 

Era un tipo robusto, più alto di me e con le spalle più larghe. Dimostrava una trentina d’anni, la metà dei miei. I capelli neri e impomatati erano divisi nel mezzo dalla scriminatura; i baffetti leggeri apparivano accuratamente tagliati e le mascelle si allargavano ai lati della faccia, dandogli l’aria di un tipo con gli orecchioni. Alla televisione gli avrebbero certo assegnata la parte del malvagio, il che sta a dimostrare che qualche volta il video ha ragione.

«Io sono Jacob Folkers» dissi. «Che posso fare per voi?»
Lui rise; un ghigno largo, irregolare, in un lampeggiare di denti candidi.
«Raccontatemi qualcosa sulla vostra Fattoria, se non vi spiace.»

Sentii Sally avvicinarsi alle mie spalle, e allungai la mano. Lei scivolò proprio sotto e il tocco del suo smalto duro e lucente mi diede una sensazione di calore.

«Una bella automatobile!» disse Gellhorn.

 

Sally era una decappottabile 2045, con un motore positronico HennisCarleton e uno chassis Armat. Aveva la linea più bella ed elegante che si fosse mai vista in un’auto. Da cinque anni era la mia preferita e le riservavo tutte le cure possibili e immaginabili; in tutto quel tempo nessuno le si era mai seduto al volante. Neppure una volta.

«Sally» dissi, dandole due o tre colpettini amichevoli, «saluta il signor Gellhorn.»
Il ronfare soddisfatto del suo motore si accentuò leggermente. Ascoltai attentamente se ci fosse qualche battito in testa. Da un po’ di tempo quasi tutte le auto battevano in testa, e cambiare benzina non serviva a niente.

Ma Sally tirava via liscia come la vernice che la ricopriva.

«Date un nome a tutte le vostre auto?» mi chiese Gellhorn.

 

Sembrava divertito. Ma alla signora Hester non va la gente che si prende gioco della Fattoria, perciò rispose brusca: «Certamente! Le auto hanno una loro personalità, vero Jake? Le berline sono tutte di sesso maschile e le decappottabili, tutte di sesso femminile».

L’uomo scoppiò a ridere di nuovo. «E le tenete in rimesse separate, signora?»

Lei gli gettò un’occhiata furente. Infine Gellhorn mi disse: «Posso parlarvi a quattr’occhi, signor Folkers?».

«Dipende» risposi io. «Siete un reporter?»

«Neanche per sogno. Sono un commissionario. La nostra conversazione non sarà certo pubblicata: vi assicuro che ci tengo moltissimo alla più rigorosa segretezza.»

«Facciamo due passi lungo la strada. Potremmo sederci su quella panchina laggiù.»

 

Ci avviammo e la signora Hester se ne andò per i fatti suoi. Sally ci venne dietro.

«Non avete niente in contrario se viene con noi, vero?» chiesi.

«Niente affatto. Non può certo raccontare quello che diremo, no?» Rise, divertito dalla propria battuta di spirito, e, allungando una mano, strofinò la cuffia del radiatore dell’auto.

Immediatamente il motore andò su di giri e l’uomo ritrasse svelto la mano.

«Non è abituata a vedere estranei» spiegai.

Sedemmo sulla panca ai piedi della grossa quercia, di dove si poteva scorgere, oltre il laghetto, la pista privata. Erano le ore più calde della giornata e le auto si trovavano tutte fuori: ce n’erano almeno una trentina.

Anche a quella distanza riuscivo a scorgere Jeremiah che si esibiva nella sua solita bravata. Si avvicinava furtivo a qualche auto tranquilla, di modello più vecchio, poi accelerava di colpo con un balzo e la sorpassava con grande fragore. Due settimane prima aveva mandato fuori strada Angus e io gli avevo spento il motore per due giorni.

Comunque, la punizione non era servita a niente e sembrava che non Ci fosse modo di fargli capire la ragione. Jeremiah era un modello sportivo e le auto di quel genere hanno la testa calda.

 

«Be’ signor Gellhorn» dissi, «volete dirmi che cosa desiderate sapere?»

Lui si guardò attorno. «È un posto sorprendente, signor Folkers» disse.

«Chiamatemi Jake, lo fanno tutti.»

«Va bene, Jake. Quante auto ci sono qua dentro?»

«Cinquantuno. Ne arrivano un paio tutti gli anni: l’anno scorso ne abbiamo accolte cinque. Non ne è ancora andata persa una e sono tutte in perfetta forma: c’è perfino una Mat-Q-Mot del ’15 che funziona alla perfezione! Una delle prime automatiche. È stata anche la nostra prima ospite.»

Il buon vecchio Matthew! Ora se ne stava quasi sempre in rimessa. Era il nonno di tutte le vetture a motore positronico: ai suoi giorni le usavano soltanto i ciechi di guerra, i paraplegici e i Capi di Stato. Ma Samson Harridge, il mio ex padrone, era abbastanza ricco da potersene comperare una.

Io ero il suo autista a quel tempo.

 

Isaac Asimov – Sally

 

Se ci penso mi sento terribilmente vecchio. Ricordo quando non c’era una sola auto al mondo capace di tornarsene a casa da sé. Guidavo macchine ottuse e senza vita: la mano dell’uomo doveva manovrare continuamente i comandi. E ogni anno quelle auto uccidevano migliaia di persone.

Le automatiche misero fine a quel macello. Il cervello positronico reagiva assai più rapidamente di quello umano e si poteva benissimo fare a meno di toccare i comandi. Si entrava, si selezionava la destinazione voluta e si lasciava fare all’auto.

Ora tutto questo ci sembra naturale, ma ricordo quando uscì la prima legge che proibiva alle vecchie auto di correre sulle autostrade e permetteva il transito alle sole automatiche. Dio mio, che pieno! Si parlò di comunismo, di fascismo… ma le autostrade si liberarono e il massacro cessò.

 

Naturalmente le automatobili erano cento volte più costose di quelle ordinarie, e non molti potevano permettersele. Così l’industria si specializzò nella costruzione di autobus automatici. Si poteva telefonare a una compagnia e farsene mandare uno alla porta in pochi minuti.

Generalmente bisognava viaggiare con altre persone dirette nel medesimo luogo, ma che importava?

Tuttavia Samson Harridge si era comprato un’auto personale. Quell’auto non era ancora Matthew per me allora. Non sapevo che sarebbe poi diventata l’anziana della Fattoria; sapevo soltanto che stava soffiandomi il posto e che la odiavo.

«Ora non avrete certamente più bisogno di me, signor Harridge» dissi quando vidi la vettura.

Lui era già piuttosto vecchio e aveva i capelli bianchi: ma le guance rosee, ben rasate, gli davano l’aria di un ragazzino. Ed era uno degli uomini più ricchi del Nordamerica.

«Cosa diavolo vi mettete in mente, Jake?» disse. «Non crederete mica che io mi affidi ciecamente a un congegno strano come quello? Voi rimarrete ai comandi, come al solito.»

«Ma funziona da sé» dissi io. «Esplora la strada, reagisce agli ostacoli, uomini o auto che siano, e ricorda il percorso che deve seguire!»

«Son cose che si dicono… Comunque non mi fido. Voi ve ne starete seduto al volante, nel caso che qualcosa non funzioni.»

 

Strano che si possa arrivare a provare simpatia per un’auto! In men che non si dica la chiamai Matthew e passai la giornata a lustrarla e a sorvegliarne il motore pulsante.

Un cervello positronico si conserva meglio quando può mantenere ininterrottamente il controllo dello chassis; perciò vale la pena di tenere pieno il serbatoio della benzina in modo che il motore possa funzionare lentamente giorno e notte. Dopo un po’ di tempo mi ero tanto affezionato, che capivo dal rumore come si sentisse Matthew.

Anche Harridge, a modo suo, gli si era affezionato. Non aveva nessun altro da amare. Aveva avuto tre mogli, ma due erano morte e dall’ultima era divorziato. Anche i suoi cinque figlioli e i tre nipotini erano passati a miglior vita. Così quando morì lasciò scritto che la sua proprietà doveva diventare una tenuta per auto in pensione: io sarei stato il direttore e Matthew il primo membro di una distinta famiglia.

 

Quest’opera diventò lo scopo della mia vita. Rinunciai al matrimonio:non ci si può fare una famiglia e al tempo stesso prendersi cura delle auto nel modo dovuto.

Per un po’ i giornali trovarono buffa l’iniziativa, ma alla fine smisero di scherzarci sopra. Su certe cose non è davvero il caso di fare del sarcasmo!

Chi non ha mai posseduto un’automatobile non è forse in grado di capire, ma, credetemi, è impossibile non affezionarsi a quelle lavoratrici indefesse e fedeli: soltanto un uomo senza cuore potrebbe maltrattarle o sopportare di vederle maltrattare da altri.

Accadde così che i proprietari di automatobili cominciarono a prenotarsi per lasciare l’auto alla Fattoria dopo la loro morte, se non avevano eredi di cui potessero fidarsi.

 

Spiegai la cosa a Gellhorn.

«Cinquantun macchine!» disse lui. «È una bella somma di denaro.»

«Cinquantamila come minimo per ciascuna automatobile, all’inizio» dissi io. «Ma ora valgono assai di più: ho fatto molto per loro»

«Deve costare un sacco di soldi, questa tenuta!»

«Avete ragione. Non è un’organizzazione a scopo di lucro, e questo ci diminuisce le tasse, inoltre le ospiti portano con sé un fondo di garanzia; tuttavia le spese continuano ad aumentare. Devo tenere in ordine il posto, riparare l’asfalto vecchio e mettere quello nuovo; e poi ci sono la benzina, l’olio, la manutenzione e i nuovi dispositivi. Sono spese considerevoli.»

«E voi siete qui da molto tempo?»

«Certamente, signor Gellhorn. Trentatré anni.»

«Mi sembra che non ci abbiate guadagnato molto…»

«Io?!? Mi meraviglio, signor Gellhorn. Mi bastano Sally e le altre cinquanta. Guardate un po’!»
In quel momento qualche insetto doveva essersi spiaccicato sul parabrezza di Sally e lei, che era istintivamente pulita, stava già mettendosi al lavoro.

 

I. Asimov – Sally

 

Mandò fuori il tubetto che spruzzò un po’ di Tergosol sul vetro e il liquido si sparse rapidamente sulla pellicola superficiale al silicone. Subito il tergicristallo entrò in azione, passando e ripassando sul parabrezza e obbligando l’acqua a raccogliersi nella scanalatura di scarico a terra: non un solo spruzzo schizzò sul cofano verde mela. Infine, tergicristallo e tubetto del detersivo tornarono al loro posto e scomparvero.

 

«Non ho mai visto un’automatobile fare cose del genere!» disse Gellhorn.

«Lo credo bene» risposi. «L’ho sistemato io quel dispositivo su tutte le nostre auto. Sono pulitissime: non fanno altro che tenere lucido il loro vetro: ci godono un mondo. Ho perfino dotato Sally di spruzzatori per la cera: si lustra da sé ogni sera finché ci si può specchiare nella carrozzeria da tutte le parti. Se riesco a trovare la grana, applicherò il dispositivo anche alle altre: le decappottabili sono molto vanitose.»

«Ve lo posso dire io come dovete fare per trovare la grana, se vi interessa!»

«Certo che m’interessa. Come?»

«Ma non è chiaro come il sole, Jake? Avete detto che ciascuna delle vostre macchine vale almeno cinquantamila dollari. Ci scommetto che molte di loro arrivano a una cifra di sei numeri.»

«E con questo?»

«Mai pensato di venderne qualcuna?»

 

Scossi la testa. «Forse non potete capire, signor Gellhorn, ma non posso farlo. Appartengono alla Fattoria, non a me.»

«I soldi andrebbero alla Fattoria.»

«Gli atti di costituzione dell’organizzazione prevedono che le auto ricevano assistenza perpetua. Non si possono vendere.»

«E i motori?»

«Scusate, ma non capisco.»

Gellhorn cambiò posizione e la sua voce si fece confidenziale.

«Sentite un po’, Jake, lasciatemi spiegare la situazione. Ci sarebbe un grande mercato per le automatobili private, se soltanto il loro prezzo venisse sufficientemente ribassato. Dico bene?»

«Non è certo un segreto.»

«Il novantacinque per cento del costo è rappresentato dal motore. Ora, io so dove trovare una scorta di carrozzerie, e so anche dove potremmo vendere le auto a un buon prezzo. Venti o trentamila per i modelli più economici, e da cinquanta a sessantamila per quelli migliori. Mi mancano soltanto i motori. Vedete, ora, la soluzione?»

 

«Proprio non la vedo, signor Gellhorn.» La vedevo, invece, ma volevo che fosse lui a sbottonarsi.
«È semplicissima. Voi avete cinquantun auto e siete un esperto meccanico. Potreste staccare un motore e sistemarlo in un’altra auto senza che nessuno se ne accorga.»

«Non sarebbe quel che si dice “onesto”.»

«Non fareste nessun male alle macchine. Anzi, fareste loro un favore. Servitevi di quelle più vecchie. Di quella decrepita Mat-O-Mot, per esempio.»

«Ascoltatemi bene, signor Gellhorn. Il motore e la carrozzeria non sono due parti separate: costituiscono un’unità singola. Quei motori sono abituati alla loro carrozzeria e sarebbero infelici in un’altra.»

«Va bene, Jake, quanto dite è vero, verissimo. Sarebbe come prendere il vostro cervello e infilarlo nel cranio di qualcun altro. Non vi andrebbe la cosa, eh?»

«Credo proprio di no.»

«Ma se io prendessi il vostro cervello e lo mettessi nel corpo di un giovane atleta? Che ne direste, Jake? Non siete più un giovincello; non vi andrebbe di avere ancora vent’anni? Ecco che cosa offro ai vostri motori positronici: l’inserimento in nuove carrozzerie del cinquantasette. Ultimo modello.»

 

Scoppiai a ridere. «Tutto questo non ha senso, signor Gellhorn. Alcune delle nostre macchine sono forse vecchie, ma in ottime condizioni. Nessuno le guida… Possono fare tutto quello che vogliono. Sono in “pensione”, signor Gellhorn. Non vorrei affatto ritornare un ragazzino di dodici anni, se ciò significasse dover scavare dei fossi per tutto il resto della mia nuova vita e non aver mai abbastanza da mangiare… Che ne pensi, Sally?»

Le due portiere di Sally si spalancarono, poi si richiusero con un colpo attutito.

«Che vuol dire?» chiese Gellhorn.

«È il suo modo di ridere.»

L’uomo ebbe un sorriso forzato. Probabilmente credeva che si trattasse di uno scherzo di cattivo gusto. «Siate ragionevole, Jake. Le auto sono fatte proprio per trasportare passeggeri. Probabilmente sono infelici, se voi non ve ne servite.»

 

«Sally non porta nessuno da ben cinque anni e mi sembra felicissima.»

«Vediamo.»

Si alzò e si diresse verso l’auto lentamente. «Ehi, Sally, che ne diresti di una corsa?»

Il motore si imballò e Sally indietreggiò.

«Non forzatela, signor Gellhorn. Qualche volta è un po’ ombrosa.»

Cento metri più in su, due berline si erano fermate. Forse a modo loro stavano guardando. Non ci feci caso: tenevo gli occhi fissi su Sally.

«Ferma, ora!» disse Gellhorn. Si piegò di colpo in avanti e afferrò la maniglia della portiera, che naturalmente non si mosse. «Ma se si è aperta un minuto fa!» brontolò, seccato.

«Chiusura automatica» spiegai. «Sally è gelosissima della sua intimità.»
Lui lasciò la presa e disse lentamente: «Un’auto gelosa della sua intimità non va in giro con la capote abbassata».

Fece due o tre passi indietro, poi, rapido come il lampo, tanto che io non potei neppure cercare di fermarlo, saltò dentro l’auto. L’aveva colta di sorpresa, e fece in tempo a spegnere il motore prima che lei pensasse a bloccare la chiavetta.

 

Asimov – Sally

 

Per la prima volta in cinque anni, Sally era silenziosa.

Lanciai un urlo, ma Gellhorn aveva già spostato l’interruttore su “manuale”, bloccandolo. Poi riaccese il motore: Sally era di nuovo viva, ma senza libertà di azione.

Avviò l’auto su per la strada. Le berline erano ancora là: si voltarono e si allontanarono, non molto in fretta. Sembravano perplesse.

Una era Giuseppe, proveniente dagli stabilimenti di Torino, e l’altra Stefano. Stavano sempre insieme. Tutt’e due si trovavano alla Fattoria da poco tempo, ma avevano già visto abbastanza per capire che le nostre auto non portavano passeggeri.

Gellhorn tirò avanti, diritto, e quando le berline finalmente capirono che Sally non aveva intenzione di fermarsi, anzi che “non poteva” fermarsi, era troppo tardi per prendere provvedimenti che non fossero d’emergenza.

Si gettarono rispettivamente da una parte e dall’altra della strada e Sally sfrecciò in mezzo a loro come una saetta. Stefano sfondò lo steccato che circondava il lago e rotolò su se stesso, andando a fermarsi sull’erba fangosa a venti centimetri dal bordo dell’acqua. Giuseppe invece finì in un prato, dove si arrestò bruscamente.

 

Riportai Stefano sulla pista e stavo cercando di accertare se si fosse fatto male, quando Gellhorn tornò.

Aprì la portiera di Sally e uscì. Poi, cacciando dentro di nuovo la testa, spense l’avviamento una seconda volta.

«Ecco» disse. «Le ha fatto un gran bene.»

Trattenni a fatica l’ira che mi aveva invaso. «Si può sapere perché siete passato come una freccia in mezzo alle due berline?»

«Ero certo che si sarebbero tolte dai piedi da sole.»

«Infatti è stato proprio così: una ha sfondato lo steccato.»

«Spiacente, Jake» rispose. «Credevo che fossero un po’ più svelte. Sapete com’è: ho guidato un’infinità di automatobus, ma sono salito su una automatobile privata solo un paio di volte in vita mia e questa è la prima volta che ne guido una.

Vedrete che ho ragione, Jake. Non dovremo abbassare i prezzi più del venti per cento sul costo di listino, per avere un buon mercato; avremo un profitto del novanta per cento.»

«E come verrà suddiviso?»

«Faremo a metà. E il rischio sarà tutto mio, ricordatelo.»

«Va bene. Io vi ho ascoltato; adesso ascoltate voi me.»

 

Alzai la voce perché ero troppo furente per comportarmi ancora educatamente. «Quando fermate il motore di Sally, le fate male. Vi piacerebbe che vi facessero perdere la conoscenza con un calcio? È proprio questo che voi fate a Sally quando la spegnete!»

«State esagerando, Jake. Gli automatobus vengono spenti tutte le sere.»

«Naturalmente. Proprio per questo non voglio che i miei amici vengano messi nelle vostre carrozzerie dove non so che trattamento li aspetta.

Gli automatobus hanno bisogno di revisioni ai circuiti elettronici ogni due anni; al vecchio Matthew, invece, non sono mai stati toccati i circuiti in vent’anni. Chi potrebbe offrirgli un trattamento migliore?»

«Be’, ora siete eccitato. Ripensate alla mia proposta e quando vi sarete calmato mettetevi in contatto con me.»

«Ci ho già pensato abbastanza. Se vi vedrò ancora qui, chiamerò la polizia.»

Lui fece per inghiottire, ma aveva la bocca completamente asciutta. «Un momento, vecchio mio» mormorò.

«Sono io che do un momento a voi. Questa è proprietà privata e vi ordino di andarvene.»

Si strinse nelle spalle: «Be’, allora addio».

«La signora Hester vi accompagnerà al cancello. E non fatevi più vedere.»

 

Asimov – Sally

 

Invece due giorni dopo lo rividi. Due giorni e mezzo, per la precisione, perché quando tornò per la seconda volta era passata mezzanotte.

Quando accese la luce balzai a sedere sul letto battendo le palpebre, senza riuscire a capire che cosa diavolo stesse accadendo. Ma una volta che riuscii a vedere, non ci fu bisogno di spiegazioni. Lui stringeva una pistola ad ago nel pugno destro, e la sottilissima canna, insidiosa spuntava, appena visibile, tra due dita. Una leggera pressione e sarei saltato in aria, a pezzi.

«Vestitevi subito, Jake» disse.

Non mi mossi; mi limitai a fissarlo.

«Siate ragionevole, Jake. Conosco il posto. Ci sono venuto due giorni fa, ricordatelo. Non avete né guardie né cinte elettrificate né segnali d’allarme. Niente.»

«Non ne ho bisogno. Detto per inciso, signor Gellhorn, niente vi impedisce di andarvene; anzi, io me ne andrei subito, se fossi in voi. Questo posto può diventare molto pericoloso.»

«Lo è senz’altro per chi si trova dalla parte sbagliata di questa rivoltella!»

«L’ho vista. Lo so che ne avete una.»

«Allora muovetevi. I miei uomini stanno aspettando.»

«Niente affatto, prima dovete dirmi quello che volete e poi si vedrà.»

«Vi ho fatto una proposta, l’altro ieri…»

«La risposta è ancora: no!»

 

«C’è qualcos’altro, ora. Sono venuto qui con una squadra di uomini e un automatobus. Vi propongo di staccare venticinque motori positronici. Non mi importa quali: li sceglierete voi. Li caricheremo sull’automatobus e li porteremo via. Quando saranno stati debitamente collocati, farò in modo che abbiate anche voi la vostra parte di denaro.»

«Ho la vostra parola, su tutto questo, eh?»

Non capì il mio sarcasmo. «L’avete» disse.

«Ebbene, no!»

«Se insistete nel rifiutare, faremo a modo nostro. Staccherò i motori io stesso; tutti e cinquantuno. Con le mie mani.»

«Non è facile staccare dei motori positronici, signor Gellhorn. Siete un esperto in automazione? E anche se lo foste, questi motori sono stati modificati da me.»

«Lo so. E, per essere sincero, non sono un esperto. Potrei rovinarne diversi se facessi il lavoro da solo: ecco perché li dovrò estrarre tutti e cinquantuno, se vi rifiutate di collaborare. Alla fine potrebbero rimanerne buoni solo venticinque. I primi, probabilmente, saranno quelli che ne risentiranno maggiormente, finché non mi sarò impratichito. E se dovrò fare le cose da me, credo che Sally sarà una delle prime.»

 

«Non state certo parlando sul serio, signor Gellhorn!»

«Certo che parlo sul serio. Se mi aiuterete, potrete tenervi Sally; in caso contrario è probabile che rimanga molto danneggiata.» Soffiò sulla pistola ad ago che teneva in mano, come per liberare il piccolissimo foro.

Gli augurai con tutto il cuore che l’arma sparasse all’improvviso e gli portasse via mezza faccia. Di solito mi sforzo sempre di pensare il meglio che posso di una persona; ma un animale a due gambe, deciso a trattare le macchine a quel modo, non ha il diritto di essere chiamato “persona”.

 

«E va bene. Verrò con voi. Ma vi avverto per l’ultima volta che vi troverete nei guai, signor Gellhorn.»

Lui trovò la cosa molto buffa. Mentre scendevamo le scale insieme, rideva quietamente.

C’era un automatobus in attesa sulla strada che porta alla rimessa. Lì accanto aspettavano tre ombre, che al nostro avvicinarsi alzarono le torce elettriche.

Alla loro luce vidi l’automatobus abbastanza bene: non era un modello vecchio, ma appariva piuttosto malconcio, come se i suoi proprietari lo considerassero soltanto una macchina.

Tuttavia ebbi l’impressione che avesse una sua personalità. Avrete forse notato qualche volta l’aria dignitosa che gli automatobus bistrattati assumono, quasi per difesa, quando invecchiano prima del tempo: qualcuno, almeno. Sembrano nobili decaduti, con i capelli grigi e la schiena ancora diritta. Mi piace pensare che questa sia l’impressione che faccio anch’io.

 

Asimov – Sally

 

«Ho qui il nostro uomo» disse Gellhorn. «Andiamo. Fate venire avanti l’automatobus e muoviamoci.»

Uno dei figuri introdusse la testa nella cabina di guida e affidò le debite istruzioni al pannello di controllo. Noi ci avviammo a piedi mentre la macchina ci seguiva docilmente.

«Non entrerà nella rimessa» dissi io. «La porta è troppo stretta Non ci sono automatobus, qui. Soltanto auto.»

«Va bene» disse Gellhorn. «Fatelo fermare sul prato, e che non rimanga in vista.»

A dieci metri dalla rimessa sentivo già il pulsare dei motori. A volte diventavano rumorosi, specialmente nelle belle notti serene, quando ogni macchina ben riempita di benzina e ben ingrassata freme dal desiderio di fare una rapida corsa sulla pista, al chiaro di luna. Di quando in quando concedevo il permesso, non molto spesso però: era troppo rischioso.

 

La proprietà era vasta, ma di notte una vettura intraprendente poteva finire col perdersi. Non avrei voluto che arrivasse fino in città e che qualche ficcanaso piantasse una grana a chi le aveva permesso di andare a zonzo senza autista.

Di solito si calmavano non appena io entravo nella rimessa; ma quella sera non fu così. Certamente avevano avvertito la presenza di estranei e quando le facce di Gellhorn e degli altri furono visibili, le auto diventarono sempre più turbolente. Ciascun motore era un caldo brontolio e batteva in modo irregolare, finché la rimessa fu tutto un risuonare metallico.

Come entrammo le luci si accesero automaticamente. Gellhorn non sembrava disturbato da quel rumore, ma i tre uomini che lo accompagnavano erano sorpresi e sconcertati. Avevano l’aspetto dello strangolatore preso a nolo; un aspetto che non è fatto tanto dai lineamenti fisici, quanto da una certa espressione torva e circospetta dello sguardo. Conoscevo quel tipo di persone e non mi sentivo preoccupato.

 

Uno di loro disse: «Accidenti! Ne bevono di benzina!».

«Le mie auto lo fanno sempre» risposi secco.

«Ora basta» disse Gellhorn. «Spegnete i motori.»

«Non è mica tanto facile» risposi.

«Sbrigatevi!»

Non mi mossi. Lui mi teneva puntata contro la pistola.

«Vi ho già detto, signor Gellhorn, che le mie auto sono sempre state trattate bene qui alla Fattoria. Sono abituate ad essere trattate così e si risentono se le cose cambiano.»

«Vi do soltanto un minuto» disse lui. «La conferenza la terrete un’altra volta.»

«Sto cercando di spiegarvi che le mie auto capiscono quello che dico. Un motore positronico impara a farlo, col tempo e la pazienza. Le mie auto hanno imparato.

Sally ha capito la vostra proposta, due giorni fa: ricordate che scoppiò a ridere quando le chiesi la sua opinione? Non ha dimenticato che cosa le avete fatto, e anche le due berline che avete mandato fuori strada vi conoscono. E tutte le altre sanno come ci si comporta con i prepotenti in generale.»

«Sentite, vecchio pazzo…»

«Basta che io dica…» Alzai la voce. «Prendeteli!»

 

Asimov – Sally

 

Uno degli uomini diventò bianco come un panno lavato e lanciò un urlo.

Ma la sua voce fu soffocata dall’assordante rumore di cinquantun clacsons che si erano scatenati tutti insieme. Ciascuno faceva del proprio meglio, e dentro le quattro mura della rimessa, l’eco sembrò un selvaggio appello.

Due auto uscirono con prudenza, ma si capiva chiaramente quale fosse il loro bersaglio. Altre due si misero in fila dietro a loro; tutte fremevano nei loro box separati.

I tre sinistri figuri sbarrarono gli occhi e indietreggiarono.

«Non appoggiatevi al muro!» gridai.

Evidentemente avevano avuto anche loro lo stesso pensiero, perché si precipitarono correndo pazzamente verso la porta.

Quando ci furono arrivati, uno di loro tirò fuori una pistola come quella di Gellhorn. La pallottola ad ago saettò con un sottile lampo azzurro verso la prima auto.

Sul cofano di Giuseppe si delineò una sottile striscia di vernice scrostata e la metà destra del parabrezza si incrinò scheggiandosi tutta, ma senza andare in pezzi.

 

Ora gli uomini correvano a gambe levate, all’aperto; le auto, a due a due, li inseguivano nella notte, con i clacsons che suonavano la carica.

Tenevo la mano sul braccio di Gellhorn, ma non credo comunque che avesse alcuna intenzione di agire. Gli tremavano le labbra.

«Ecco perché non ho bisogno di recinti elettrificati né di guardie» gli dissi. «La mia proprietà si difende da sé.»

Lo sguardo di Gellhorn si spostava, come affascinato, seguendo ogni nuova coppia di auto che gli passava davanti.

«Sono auto assassine!» mormorò.

«Non dite scemenze. Non uccideranno i vostri uomini.»

«Assassine!»

«Gli daranno soltanto una bella lezione. Sono state appositamente addestrate per l’inseguimento attraverso i campi, proprio in previsione di un’occasione come questa; per i vostri uomini sarà peggio che una morte rapida. Siete mai stato inseguito da un’automatobile?»

Lui non rispose.

Continuai. Non volevo che perdesse nessun particolare. «I vostri uomini sono tallonati da auto che vanno esattamente alla loro velocità; ora li sfiorano, ora li assordano con un colpo di clacson, oppure gli schizzano addosso evitandoli solo all’ultimo momento con un grande stridio di freni e un rombo del motore.

E continueranno così finché i poveretti si lasceranno cadere a terra, senza fiato e mezzi morti, rassegnati a sentirsi stritolare le ossa dalle ruote. Questo le auto non lo faranno: si limiteranno ad andarsene. Però potete scommettere che quei tipi non metteranno mai più piede qui dentro in vita loro. Neppure per tutto il vostro denaro o per quello che potrebbero dargli dieci come voi. Sentite…»

 

Gli strinsi il braccio più forte e lui tese l’orecchio.

«Non sentite rumore di portiere sbattute?»

Era debole e lontano, ma era inconfondibile.

«Sì» disse lui.

«Ridono. Si divertono un mondo.»

La sua faccia si contrasse per l’ira. Alzò la mano in cui stringeva ancora la pistola.

«Al vostro posto non lo farei» dissi io tranquillo. «C’è ancora un’automatobile qui con noi.»

 

Non credo che si fosse accorto di Sally fino a quel momento; si era avvicinata molto silenziosamente. Sebbene il suo parafango destro anteriore quasi mi toccasse, non riuscivo a sentire il rumore del suo motore. Sembrava che trattenesse il respiro.

Quando la vide, Gellhorn lanciò un urlo.

«Non vi toccherà finché io sarò con voi» dissi. «Ma se vi saltasse in mente di uccidermi… Sapete benissimo che a Sally non siete simpatico per niente.»

Lui puntò la pistola in direzione dell’auto.

«Il suo motore è schermato» dissi. «E prima che possiate premere il grilletto una seconda volta, lei vi sarà addosso.»

«E va bene, allora!» All’improvviso mi rovesciò il braccio dietro la schiena, torcendomelo con tanta forza che quasi non riuscivo a rimanere in piedi. Poi, tenendomi tra sé e Sally, gridò: «Vieni fuori con me senza voltarti, vecchio barbagianni! E non cercare di liberarti, se non vuoi che ti stacchi il braccio dalla spalla».

Dovetti ubbidire. Sally ci seguiva e pareva incerta sul da farsi. Cercai di dirle qualcosa, ma non potevo: potevo soltanto stringere i denti e gemere.

 

Asimov – Sally

 

L’automatobus di Gellhorn era ancora lì, fuori della rimessa. Gellhorn mi obbligò a salirci e poi saltò dentro anche lui, bloccando subito le portiere.

La sua fronte sudata luccicò un istante prima che la luce bianca che usciva dalla rimessa spalancata si spegnesse; il fiato gli uscì sibilando dalle narici, e lui si asciugò il sudore.

«Va meglio, ora» disse. «Qui si può discutere.»

Mi massaggiai il braccio cercando di rianimarlo, e mentre facevo questo studiavo automaticamente, senza rendermene conto, il pannello dei comandi dell’automatobus.

«Ma questo è stato ricostruito!» esclamai.

«E con questo?» disse lui, caustico. «Ecco un esempio di come lavoro io. Ho preso uno chassis vecchio, un cervello ancora utilizzabile e mi sono messo assieme un automatobus personale. Che fate?»

 

Mi aggrappai al pannello della manutenzione e lo tirai da parte.

«Cosa diavolo… Lasciate stare quello!» disse lui mentre il palmo della sua mano scendeva pesantemente sulla mia spalla sinistra.

Mi dibattei. «Non voglio fargli del male!» gridai. «Per chi mi avete preso? Voglio soltanto dare un’occhiata ai collegamenti del motore.»

Non ci volle molto. Quando mi girai di nuovo verso di lui ero furente.

«Siete un cane e un bastardo! Non avevate il diritto di installare il motore a quel modo! Perché non vi siete rivolto a un esperto?»

«Fossi matto!»

«Anche se è un motore rubato, non avete il diritto di trattarlo così! Io non tratterei un uomo come voi avete trattato quel motore! Saldature, nastro adesivo e pinze… È brutale!»

«Funziona, no?»

«Certo che funziona, ma dev’essere un inferno per questo povero automatobus! Si può vivere anche con l’emicrania e l’artrite acuta, ma non è una gran bella vita. Questa auto “soffre”!»

«Chiudi il becco!» Lanciò fuori dal finestrino una rapida occhiata a Sally che si era avvicinata il più possibile, e si assicurò che tutte le aperture fossero chiuse.

«Dobbiamo andarcene di qui prima che le altre auto tornino Staremo nascosti per un po’.»
«E a che servirà?»

«Un bel momento le vostre auto finiranno la benzina, no? Non le avete mica modificate in modo che siano capaci anche di rifarsi il pieno da sole!

Allora torneremo per finire il lavoro.»

«Mi cercheranno» dissi. «E la signora Hester chiamerà la polizia.»

Ma era inutile ragionare con lui. Senza rispondere, mise in moto l’automatobus e si avviò. Sally ci seguiva a ruota.

 

Gellhorn la guardò e scoppiò a ridere. «Che può farci, lei, ora che siete quassù con me?»
Sally sembrò sentire anche questo. Prese velocità, ci sorpassò e scomparve. Allora luì aprì il finestrino e sputò fuori.

L’automatobus arrancava pesantemente nel buio, col motore che pulsava in modo irregolare. Gellhorn abbassò gli abbaglianti: la striscia verde e fosforescente al centro della strada ci impediva di finire contro un albero.

Non c’era praticamente traffico. Incrociammo due auto che andavano in direzione opposta, ma nella nostra carreggiata non c’era alcun veicolo, né prima né dopo di noi.

 

Sentii per primo lo sbattere delle portiere: netto e rapido nel silenzio notturno, il rumore veniva ora da destra, ora da sinistra. Le mani di Gellhorn armeggiavano freneticamente per aumentare la velocità. All’improvviso una lama di luce attraversò la siepe spartitraffico, accecandoci. Un altro fascio luminoso si fermò su di noi, da dietro il guard-rail, sull’altro lato della carreggiata.

Quattrocento metri più avanti, a un incrocio, si udì il sibilo di una macchina che ci attraversava la strada.

«Sally è andata a chiamare le altre» dissi. «Siete circondato.»

«E con questo? Che cosa ci possono fare?»

Si piegò sui comandi, scrutando attraverso il parabrezza.

«E non azzardatevi a fare brutti scherzi» brontolò minaccioso.

Non avrei potuto. Ero tutto indolenzito e il braccio destro mi scottava.

Ora il rumore dei motori si accentrava in una sola direzione, avvicinandosi. Li sentivo rombare in modo strano, come se stessero confabulando fra loro.

All’improvviso ci fu una gran confusione di clacsons dietro di noi. Mi girai, e Gellhorn lanciò una rapida occhiata allo specchietto retrovisivo.

 

Asimov – Sally

 

Una decina di auto ci seguivano, occupando tutt’e due le corsie.

A un tratto Gellhorn si mise a ridere come un matto.

«Fermate!» urlai io. «Fermate l’automatobus!»

Mezzo chilometro più avanti, illuminata dai fari delle due berline ferme sul bordo della strada, stava Sally, col corpo grazioso piazzato di traverso in mezzo alla carreggiata. Due altre auto sfrecciavano accanto a noi, nella corsia di sinistra, impedendo a Gellhorn di deviare.

Ma lui non aveva nessuna intenzione di farlo. Teneva il dito sopra il pulsante di velocità massima e premeva con decisione.

«Adesso non ci sarà più modo di bluffare» disse. «Questo automatobus è cinque volte più pesante di lei e la faremo schizzar fuori dalla strada come un gattino morto.»

Lo sapevo. L’automatobus era sul manuale e il dito di Gellhorn continuava a premere. Era deciso a fare quello che diceva.

Abbassai il finestrino e cacciai fuori la testa. «Sally!» gridai. «Spostati, Sally!»
Ma la mia voce si perse in un sinistro stridere di freni bloccati. Fui proiettato in avanti e sentii il sibilo del respiro di Gellhorn.

«Cosa succede?» chiesi. Si trattava di una domanda sciocca: ci eravamo fermati, ecco cos’era successo. Sally stava là, immobile, a un metro e mezzo di distanza: nonostante il bolide fosse stato a un pelo dal piombarle addosso, lei non aveva fatto una piega. Un bel fegato, la piccola!
Gellhorn strappò con violenza l’interruttore a levetta del manuale. «Deve andare…» ansimava.

«Deve andare!»

«Con un motore montato a quel modo non andrà mai, esperto! Tutti i circuiti sono incrociati!»
Mi lanciò un’occhiata furente e mugolò qualcosa. I capelli arruffati gli ricadevano sulla fronte. Poi alzò il braccio.

«Comunque non avrai tempo di darmi dei consigli!» disse con voce sorda.

 

Tra un istante la pistola avrebbe sparato. Ne ero certo. Mentre lui prendeva la mira mi appoggiai forte contro la portiera, e quando lo sportello si spalancò mi rovesciai all’indietro, piombando a terra con un tonfo sordo. Poi la porta si chiuse di nuovo.

Mi alzai in ginocchio appena in tempo per vedere Gellhorn lottare inutilmente col finestrino che stava richiudendosi e puntare poi rapidamente la pistola dietro il vetro. Ma non sparò: l’automatobus partì in quarta con un rombo assordante e lui fu scaraventato sul pavimento.

Sally non bloccava più la strada ora e vidi le luci posteriori del veicolo brillare nell’oscurità, già molto lontane.

Ero esausto. Sedetti lì, proprio sulla carreggiata, e nascosi la testa nelle braccia incrociate, cercando di riprendere fiato.

Allora sentii qualcuno fermarsi delicatamente al mio fianco: alzai gli occhi e vidi Sally. Lentamente, quasi affettuosamente, la sua portiera anteriore si aprì.

 

Erano cinque anni che lei non trasportava nessuno, se si esclude la breve corsa forzata con Gellhorn, e mi resi conto di quanto dovesse costarle quel gesto di amicizia. Ne apprezzai il significato, ma dissi: «Grazie, Sally, prenderò una delle macchine più recenti».

Mi alzai e feci l’atto di andarmene, ma lei piroettò davanti a me con agile eleganza e si fermò di nuovo, in attesa. Non potevo urtare i suoi sentimenti e quindi entrai. Il sedile anteriore aveva il profumo fresco e delizioso dell’auto che si mantiene scrupolosamente pulita; mi ci sdraiai sopra con gratitudine e subito, con rapida, silenziosa e tranquilla efficienza, fui riportato a casa.

 

Asimov – Sally

 

La sera dopo, la signora Hester mi portò, tutta eccitata, una copia del quotidiano locale.

«Sapete del signor Gellhorn?» disse. «L’uomo che è venuto qui l’altro giorno?»

«Be’, cosa gli è successo?» Avevo paura della risposta.

«L’hanno trovato morto. Pensate un po’: lungo e tirato in un fosso.»

«Potrebbe anche essere un altro» mormorai.

«Raymond J. Gellhorn» disse lei brusca. «Non possono mica essercene due uguali, no? Anche la descrizione corrisponde. Dio mio, che morte!

Hanno scoperto segni di ruote sulle braccia e in tutto il corpo. Meno male che è stato un automatobus, altrimenti la polizia sarebbe venuta a ficcare il naso anche qui!»

«È accaduto da queste parti?» chiesi, ansioso.

«No… vicino a Cooksville. Ma, leggete un po’ voi se… Oh, cos’è successo a Giuseppe?»
Ringraziai il cielo per quella distrazione: Giuseppe stava aspettando pazientemente che io completassi la sua verniciatura. Il parabrezza era già stato sostituito.

«Jeremiah… La solita storia!»

«Ha sorpassato ancora in pista? Ma perché non gli fate una ramanzina?»

«Gliel’ho già fatta. Non serve a niente.»

 

Quando se ne fu andata, afferrai il foglio che riportava la notizia. Non c’era dubbio: il medico aveva dichiarato che la vittima doveva aver corso molto e che al momento della morte si trovava in uno stato di completo esaurimento.

Chissà per quanti chilometri l’automatobus si era divertito con Gellhorn prima di compiere il balzo finale! Naturalmente questo nessuno lo sapeva.

L’automatobus era stato individuato e identificato grazie ai segni lasciati dalle ruote sul terreno. Ora era in mano alla polizia, che stava ricercandone il proprietario.

Nel giornale c’era un articolo sul caso. Quello era il primo incidente stradale verificatosi nel nostro Stato da un anno a quella parte, e il quotidiano condannava severamente l’uso della guida manuale nelle ore notturne.

Non si faceva parola dei tre aiutanti di Gellhorn, e questo mi tranquillizzò: nessuna delle nostre auto si era lasciata trascinare dal piacere di uccidere.

Non c’era altro. Lasciai cadere il giornale: Gellhorn, dopo tutto, era stato un criminale e aveva trattato quel povero automatobus in un modo indegno. Certamente si era meritato la morte. Tuttavia mi sentivo sconvolto.

 

È già passato un mese da quel giorno, ma non riesco a dimenticare. Le mie auto chiacchierano tra loro, e io ora so con certezza quello che dicono. È come se si fossero fatte più sicure di sé e non si preoccupassero più di tenere nascosto un segreto. Il loro motore vibra e pulsa senza sosta.
E non parlano soltanto tra loro, ma anche alle auto che vengono alla Fattoria per lavoro. Da quanto tempo si comportano così?

Certamente si fanno capire. Anche l’automatobus di Gellhorn le aveva capite nonostante fosse rimasto là fermo soltanto un’ora… Se chiudo gli occhi rivivo quella corsa sull’autostrada, con le auto che, affiancate all’automatobus, chiacchierano con il suo motore finché lui non capisce, si ferma e, dopo avermi scaraventato fuori, riparte con Gellhorn…

Furono le mie auto a dirgli di ucciderlo o è stata una sua idea?

Possono venire idee simili, alle auto? I progettatori dicono di no. Ma loro considerano soltanto le situazioni normali: hanno davvero previsto “tutto”?

 

Le auto a volte sono maltrattate e potrebbe capitare che qualcuna, sostando alla Fattoria, si sentisse raccontare cose straordinarie… Scoprirebbe così che esistono sorelle fortunate a cui non si spegne mai il motore, che non trasportano mai nessuno e che non mancano di niente.

Poi se ne andrebbe e lo racconterebbe alle altre, così che la voce si diffonderebbe rapidamente.

Allora tutte comincerebbero a pensare che le cose dovrebbero andare a quel modo in tutto il mondo: che ne sanno loro di lasciti e di capricci di uomini ricchi sfondati?

 

Ci sono milioni di automatobili sulla Terra. Decine di milioni. E se tutte dovessero mettersi in mente che sono tenute schiave e che bisogna fare qualcosa… Se cominciassero a ragionare come automatobus di Gellhorn…

Ma forse allora io non ci sarò più. E poi, dovranno bene risparmiare qualcuno di noi perché si prenda cura di loro, no? Non possono farci fuori tutti!

O forse sì. Forse non capiscono che qualcuno deve occuparsi di loro, e non aspetteranno.
Ogni mattina, quando mi sveglio, non posso fare a meno di pensare:

Forse oggi…

Strano a dirsi, ma ora non provo più tanto gusto a intrattenermi con le mie auto, come una volta. Mi sono anzi accorto che da un po’ di tempo in qua ho perfino cominciato a evitare Sally!

..

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Isaac Asimov – Sally 

In inglese originale: Sally , 1953

Racconto di Fantascienza sull’intelligenza artificiale AI

Letteratura fantastica statunitense

 

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