Il cimitero marino – Paul Valery

 

Introduzione a: Il cimitero marino di Paul Valery

Il cimitero marino, uno dei testi più celebri e importanti della poesia europea contemporanea, fu composto da Paul Valery nel 1920 e pubblicato lo stesso anno sulla Nouvelle Revue Francaise di giugno. L’edizione definitiva uscì nel 1922, in una raccolta di versi intitolata Incanti (Charmes – Paul Valery).
L’originale francese de “Il cimitero Marino”di Paul Valery, presenta 24 strofe di versi decasillabi. L’io-narrante si trova nel cimitero di Sete, paese natale di Valéry, sopra una collina che domina il mare. Il sole fermo nel pomeriggio diventa in Valery il simbolo dell’Essere, che si confonde con la non-vita: il Non-Essere, similmente al sole, all’orizzonte si confonde con il mare nel gioco dei riverberi. Da qui l’io-poeta Paul Valery riflette sul senso del tempo, dell’esistere, della vita e della morte.

Paul Valéry costruisce versi che suonano all’orecchio come musica, e sviluppa complesse allegorie di cui non è sempre facile afferrare il senso. Ma un testo come questo richiede di lasciare perdere la pretesa di spiegarsi ogni particolare: è preferibile infatti lasciarsi trasportare da Paul Valery entrando passivi in sintonia con il susseguirsi dei pensieri e delle immagini, gustandosi l’atmosfera d’incanto che i versi suscitano. Lo stesso Valéry disse che il significato dei propri versi è quello che ciascun lettore vuole in essi vedere.

 

 

Il cimitero marino

Paul Valery

 

I

Quel tetto quieto, sparso di colombe,
Fra i pini palpita, e pur fra le tombe;
In fuoco il giusto Meriggio combina
Il mare, il mare, sempre rinnovato!
Quale compenso a un pensier passato
Un lungo sguardo alla calma divina.

II

Che fine ordito di lampi consuma
Tanti diamanti di sottile spuma,
E quale pace si fa prevedere!
Se sull’abisso d’un sol c’è una pausa,
Opere pure di una eterna causa,
Scintilla il Tempo e il Sogno è sapere.

III

Tesoro certo, sobria ara a Minerva,
Massa calma e visibile riserva,
Acqua severa, Occhio che tieni stretto
Sì tanto sonno sotto un vel di fiamma,
O mio silenzio!…Edificio dell’alma,
Terrazza d’oro in mille embrici, Tetto!

IV

Tempio del Tempio, che un sospir riassume,
La purezza cui salgo or m’è costume,
Avvolto dentro al mio sguardo di mare;
E quale agli dei offerta mia più grande,
Lo scintillio sereno intorno spande
Su per l’altezza un sovran disdegnare.

V

Come in piacere si trasforma un frutto,
Come in delizia viene esso distrutto
In una bocca ove la forma muore,
Io qui respiro il mio futuro fumo
E il cielo canta all’anima in consumo
Le rive dissolventisi in rumore.

VI

Vero e bel cielo, guarda me che muto!
Dopo che in tanto orgoglio son vissuto,
In ozio strano, ma pien di potere,
Io m’abbandono alla brillante plaga,
Su morte case ora l’ombra mia vaga
Che me, col blando moto, sa tenere.

VII

L’anima esposta al fuoco solstiziale,
Sostengo la giustizia eccezionale
Tua, o luce, in armi che non han pietà.
Pura, io ti rendo ove ti si produce:
Guardati!…Ma rendere la luce
Suppone d’ombra una cupa metà.

VIII

Oh, sol per me, a me solo, in me soltanto,
Appresso a un cuore, alle fonti del canto,
Fra il vuoto niente e l’accadere puro,
Attendo all’eco di mia ampiezza interna,
Amara, oscura e sonora cisterna,
Sonante incavo in me, sempre futuro!

IX

Tu delle fronde prigionier non vero,
Golfo, che rodi il graticcio leggero,
Sui miei occhi chiusi, segreti splendenti,
Sai tu qual corpo alla sua fine oziosa
Mi trae, e qual fronte a questa terra ossosa?
Una scintilla qui pensa ai miei assenti.

X

D’un fuoco incorporeo sacro orto pieno,
Teso alla luce frammento terreno,
Mi piace questo luogo di candele,
Composto d’oro, pietra e oscure piante,
Qui tanto marmo trema all’ombre tante;
Sulle mie tombe il mar dorme fedele.

XI

Chi idoli vuol scaccia, cane splendente!
Se io solitario, pastor sorridente,
Vado pascendo, agnelli misteriosi,
Il bianco gregge di mie quiete tombe,
Tieni lontane le prudenti colombe,
I sogni vani, gli angeli curiosi.

XII

Qui pervenuto, è l’avvenir fiacchezza,
Netto l’insetto gratta la secchezza,
Tutto è bruciato, sfatto e accolto in aria
in non so quale sì severa essenza…
Vuota è la vita, ebbra com’ è d’assenza,
Dolce è amarezza, ed è la mente chiara.

XIII

Occulti in terra i morti stanno bene,
Al caldo e in secco mister essa li tiene.
Meriggio in alto senza movimento
In sé si pensa e di se stesso è tema…
Completa testa e perfetto diadema,
Io sono in te il segreto mutamento.

XIV

In me soltanto stanno i tuoi timori!
I miei rimorsi, dubbi e rigori
Sono il difetto del tuo gran diamante…
Ma nella notte di pesi marmorei,
Un popol vago sotto i ceppi arborei
Pian piano già fatto è tuo militante.

XV

Fusi essi sono in una spessa assenza,
Rossa argilla ingoiò lor bianca parvenza,
Han fatto dono di lor vita ai fiori!
Dove saran le frasi familiari?
L’arte precipua, i cuori singolari?
Stan larve ov’eran lacrimali umori

XVI

Gridi acuti di donne stuzzicate,
I denti, gli occhi, le ciglia bagnate,
Splendido seno che gioca col fuoco,
Sangue che brilla in labbra ormai concesse,
Dita e final doni difesi da esse,
Tutto sotterra va, torna nel gioco!

XVII

E tu, grand’anima, un sogno ancora speri
Che non abbia i colori menzogneri
Che, a occhi di carne, onda e oro mostran qui?
Canterai tu, fatta ormai vaporosa?
Tutto fugge! Ah, presenza mia porosa!
Muore la santa impazienza altresì!

XVIII

Magra immortalità nera e dorata,
Consolatrice d’atro lauro ornata,
Che della morte fai un seno materno,
Bella menzogna sei, e che pietà astuta!
Chi non conosce, e chi non li rifiuta
Quel cranio vuoto e quel ridere eterno!

XIX

Padri profondi, teste inabitate,
Che sotto il peso di tante palate,
Siete la terra che il passo sconcerta,
Tarlo ver, verme cui non si contrasta,
Non rode il sonno che marmo sovrasta:
Di vita vive esso, e mai mi deserta.

XX

E’Amore, forse, o odio verso me stesso?
Il dente suo segreto sì m’ è appresso,
Che ben qualsiasi nome gli conviene!
Che importa! Esso vuol, sogna, tocca, vede!
Di carne mia ha piacer, e al letto accede
Al viver suo il viver mio appartiene!

XXI

Zenon! Crudele! Zenone eleata!
M’hai tu trafitto con la freccia alata,
Che vibra, vola, eppure in vol non è!
Mi dà il suon vita che la freccia fuga,
Ah! Questo sole…Ombra di tartaruga
Per l’io, l’ immoto Achille lesto piè!

XXII

No, No!…Su, in piedi! All’era successiva!
Spezza, o mio corpo, la forma pensiva!
Bevi, mio petto, la nascita dei venti!
Una freschezza, dal mare esalata,
Rincuora l’anima…O forza salata!
All’onda presto, a riemergerne viventi!

XXIII

Si! Grande mar ai deliri votato,
Pelle di pardo e mantello forato,
Da mille e ancor mille idoli solari,
Idra assoluta, carne blu inebriante
Che ti mordi la coda scintillante,
In un tumulto che al silenzio è pari,

XXIV

Si leva il vento! Su, alla vita, presto!
Immensa l’aria apre e chiude il mio testo.
Polvere d’onda sprizza alle scogliere!
Volate via pagine abbacinate!
Spezzate, onde! Spezzate, acque inebriate,
Quel tetto quieto al beccheggiar di vele.

 

Paul Valery

 

 

Paul Valery – Il cimitero marino

 

Paul Valery

Insieme a Claudel, Gide e Proust, Paul Valéry è uno dei massimi esponenti della letteratura francese della prima metà del secolo scorso. Paul Valéry nasce a Sète, centro marittimo della Francia meridionale, il 30 ottobre 1871. Il padre, ispettore della Dogana, era di origine corsa; la madre, Fanny Grassi, di famiglia genovese. Nel 1873 Paul compie con i genitori il primo viaggio a Genova, città a cui resterà sempre legato. Nel 1884 la famiglia si trasferisce a Montpellier, dove Paul Valery frequenta il ginnasio-liceo, per iscriversi quattro anni dopo a Giurisprudenza. Dal 1889-1890 comincia a pubblicare, su giornali locali e piccole riviste letterarie, poesie di ispirazione simbolista; stringe amicizia con Pierre Louys e André Gide; conosce poi Mallarmé, che frequenterà assiduamente dopo essersi trasferito, nel 1894, a Parigi. Ma intanto una crisi spirituale già lo aveva portato ad abbandonare la poesia per dedicarsi allo studio della matematica e della filosofia. Ne conseguiranno i saggi Introduction à la méthode de Leonard de Vinci (1895) e La soirée avec Monsieur Teste (1906). Tornerà alla poesia soltanto nel 1917, con La jeune Parque, complesso poema in alessandrini, il cui successo critico porterà alla pubblicazione delle poesie giovanili (Album de vers anciens, 1921) e poi di una nuova raccolta (Charmes, 1922), che contiene alcuni dei suoi capolavori poetici, tra i quali Le cimetière marin,  Il cimitero marino, uno dei vertici della lirica del Novecento.
Nel 1923 escono i dialoghi Eupalinos ou L’architecte e L’âme et la danse; nel 1921 il primo dei cinque volumi di Variété, che nel ventennio successivo raccoglieranno, coi due di Tel Quel (1941-1943), la sua amplissima produzione saggistica. Paul Valery. eletto nel 1917 all’Académie Française, è ormai considerato uno dei maggiori intellettuali del suo tempo, sempre più preso da impegni francesi e internazionali. Nel 1938 è incaricato di un corso di poetica al Collège de France, che terrà sino alla fine. Nell’edizione del 1942 delle Poésies, con le tre precedenti raccolte, pubblica alcuni testi melodrammatici degli anni trenta: Cantate du Narcisse, Amphion e Sémiramis, musicati da Arthur Honegger. Ancora al teatro è dedicato il Mon Faust, edito nel 1944. Valéry muore il 20 luglio 1945: dopo le esequie nazionali a Parigi, verrà sepolto nel cimitero marino di Sète.

 

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