CESARE PAVESE – I GATTI LO SAPRANNO (poesia dalla raccolta: Verrà la morte e avrà i tuoi occhi) ITA

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Cesare Pavese

 

I gatti lo sapranno

(da: Verrà la morte e avrà i tuoi occhi)

 

 

 

I gatti lo sapranno è l’ultima delle dieci poesie scritte da Cesare Pavese per l’attrice americana Connie Dowling, di cui si era innamorato da un anno, non corrisposto, e riunite nella raccolta di poesie: Verra la morte e avrà i tuoi occhi.
La poesia “I gatti lo sapranno” è stata scritta da Cesare Pavese a Roma, durante una lunga notte in attesa dell’attrice che, in base a pettegolezzi, avrebbe trascorso buona parte di quella notte con un attore con cui aveva una relazione.

Nella poesia “I gatti lo sapranno” c’è tutta la tristezza e la delusione per un incontro annientato rispetto alle aspettative, e partendo da esso, e dalla propria condizione esistenziale, avvolge con un velo di tristezza tutta l’umanità, nella consapevolezza della vita.

il titolo originale de “I gatti lo saprannodi Cesare Pavese era in inglese: “The Cats Will Know“, perchè scritta appunto per il suo amore: l’attrice americana Connie Dowling.

 

 

I gatti lo sapranno

 

 

 

Ancora cadrà la pioggia

sui tuoi dolci selciati,

una pioggia leggera

come un alito o un passo.

 

Ancora la brezza e l’alba

fioriranno leggere

come sotto il tuo passo,

quando tu rientrerai.

 

Tra fiori e davanzali

i gatti lo sapranno.

 

Ci saranno altri giorni,

ci saranno altre voci.

Sorriderai da sola.

I gatti lo sapranno.

 

 

Udrai parole antiche,

parole stanche e vane

come i costumi smessi

delle feste di ieri.

 

 

Farai gesti anche tu.

Risponderai parole,

viso di primavera,

farai gesti anche tu.

 

 

I gatti lo sapranno,

viso di primavera;

e la pioggia leggera,

l’alba color giacinto,

che dilaniano il cuore

di chi più non ti spera,

sono il triste sorriso

che sorridi da sola.

 

Ci saranno altri giorni,

altre voci e risvegli.

Soffriremo nell’alba,

viso di primavera.

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Cesare Pavese – I gatti lo sapranno (The cats will know)

(10 aprile 1950)

 

 

Lettera che Cesare Pavese scrisse

a Connie Dowling

 

 

17 aprile 1950 

“Carissima, non sono più in animo di scrivere poesie.

Le poesie sono venute con te e se ne vanno con te.

Questa l’ho scritta qualche pomeriggio fa, durante le lunghe ore all’hotel in cui aspettavo, esitando, di chiamarti. Perdonane la tristezza, ma con te ero anche triste. Vedi, ho cominciato con una poesia in inglese e finisco con un’altra. C’è in esse tutta l’ampiezza di quel che ho sperimentato in questo mese: l’orrore e la meraviglia. Carissima, non avercela a male se sto sempre parlando di sentimenti che tu non puoi condividere. Almeno puoi capirli. Voglio che tu sappia che ti ringrazio di tutto cuore. I pochi giorni di meraviglia che ho strappato dalla tua vita erano quasi troppo per me – bene, sono passati, ora comincia l’orrore, il nudo orrore e io sono pronto a questo. La porta della prigione è tornata a chiudersi di schianto….Farai in tempo a ricevere La luna e i falò. Forse sarà già ad aspettarti ain North Vista Avenue prima che tu arrivi. Sono così contento che ci sia il tuo nome.
Ricorda che ho scritto questo libro – interamente – prima di conoscerti, eppure in qualche modo sentivo in questo libro che stavi per venire. Non è stato meraviglioso viso di primavera, io di te amavo tutto, non solo la tua bellezza, il che è abbastanza facile, ma anche la tua bruttezza, i tuoi momenti brutti, la tua tache noire, il tuo viso chiuso. E pure ti compiango. Non dimenticarlo.”.

Cesare Pavese

 

 

Il suicidio di Cesare Pavese

 

 

Il 17 agosto 1950 Cesare Pavese scrisse sul suo diario (pubblicato nel 1952 con il titolo: “Il mestiere di vivere, diario 1935-1950“: «Questo il consuntivo dell’anno non finito, che non finirò» e il 18 agosto aveva chiuso il diario scrivendo: «Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più».

In preda a un profondo disagio esistenziale, tormentato dalla recente delusione amorosa con l’attrice americana Constance Connie Dowling, alla quale dedicò i versi di “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi“, mise prematuramente fine alla sua vita il 26 agosto del 1950, in una camera dell’albergo Roma di Piazza Carlo Felice a Torino, che aveva occupato il giorno prima. Venne trovato disteso sul letto dopo aver ingerito più di dieci bustine di sonnifero.

Sulla prima pagina dei Dialoghi con Leucò, che si trovava sul tavolino aveva scritto:

«Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi». All’interno del libro era inserito un foglietto con tre frasi vergate da Cesare Pavese: una citazione dal libro, «L’uomo mortale, Leucò, non ha che questo d’immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia», una dal proprio diario, «Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti», e «Ho cercato me stesso».

Cesare Pavese

Qualche giorno dopo si svolsero i funerali civili, senza commemorazioni religiose poiché suicida e ateo. (da: wikipedia).

 

 

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